Tragedia Ceresole: intervista ad Ignazio Berardi

Tragedia Ceresole: intervista ad Ignazio Berardi

Riproponiamo un articolo pubblicato due anni fa sul nostro giornale a seguito di una chiacchierata con il signor Ignazio Berardi, venuto a mancare alla cittadina petilina giorno 16.

Era il primo dicembre del 1959 quando una slavina di neve colpì una baracca di 24 operai che lavoravano in galleria a Ceresole Reale, la baracca era divisa in due blocchi di 12 operari, solo una parte venne seppellita dalla neve, i morti furono 9. Tra gli operai che lavoravano in galleria molti erano i calabresi che avevano lasciato la propria terra per questioni economiche e alcuni di questi erano di Petilia Policastro. Nella parte di baracca colpita dalla tragedia c’erano 4 petilini: i fratelli Ignazio e Francesco Berardi, Alfonso Toscano e Sebastiano Ierardi, l’unico superstite petilino fu Ignazio Berardi oggi ottantaseienne con una buona memoria. A ricostruire la vicenda di quella notte del primo dicembre è il signor Ignazio con una voce piena di emozione per la tragedia che è riuscito a scampare, ma che non ha risparmiato il fratello di appena 28 anni. All’epoca trentenne, Ignazio aveva lasciato figli e una moglie incinta per andare a lavorare per un’impresa di Ceresole Reale che si occupava di condotte per la produzione di corrente elettrica. Era stato il bisogno e la voglia di far condurre una vita dignitosa alla propria famiglia a fare partire il signor Ignazio; con la stessa pena al cuore di tanti altri emigranti si lasciava la propria Calabria con la speranza di ritornare presto e con prospettive migliori. Quando al superstite della slavina gli si comincia a fare qualche domanda su quella terribile notte non riesce a trattenere le lacrime e fa pesare come per lui sia difficile ripercorrere quell’evento che vorrebbe non si fosse mai verificato. Però dopo l’emozione iniziale, comprende quanto sia importante ricordare e dare un monito ai giovani e fa una premessa «Sono passati 53 anni e tante cose non le ricordo più», in realtà tutto ciò che Ignazio ricorda è sufficiente per comprendere quello che ha passato e per conoscere i sacrifici di un’intera generazione. La notte di quel primo dicembre del ’59 faceva molto freddo, nelle ultime settimane aveva nevicato e anche quella notte la neve continuava a scendere; «eravamo nella baracca vicino il cantiere e avevamo paura di restare senza viveri» ricorda il superstite petilino, infatti i cantieri di lavoro erano sopra Ceresole Reale ed erano raggiungibili solo a piedi o con una teleferica, quello in cui lavoravano i petilini era a circa 2000 metri di altitudine. Il racconto del signor Ignazio diventa più drammatico quando ricorda del boato che si era avvertito nella baracca prima della caduta della slavina, «avevamo sentito il rumore, ma non pensavamo di avere il pericolo alle spalle – continua con le lacrime agli occhi – ad un certo punto non si è capito più nulla, eravamo rimasti bloccati nella baracca, ma io non ricordo nulla di quei momenti, ricordo solo i momenti precedenti e quelli subito dopo il mio salvataggio». Il signor Ignazio è rimasto sotto la neve per 16 ore, quando è stato tirato fuori era quasi congelato, ma era vivo ed è questo quello che conta, l’essere potuto ritornare dai suoi cari nella sua Calabria, mentre 9 operai, tra cui il fratello di Ignazio, non ce l’hanno fatta. Se gli si chiede cosa provasse mentre era ancora sotto la neve risponde «non sapevo se ero vivo o morto, ho cominciato ad essere cosciente solo quando ho visto i soccorsi» e infatti solo in quel momento ha cercato di gridare “aiuto”. Subito dopo tutti i superstiti sono stati portati al cantiere e si è cercato di attrezzarsi come meglio si poteva. Quello che ricorda con più affetto è il gesto di un carabiniere e di un altro operaio come lui «io ero quasi nudo e un carabiniere si è tolto il suo giaccone per coprirmi, un bresciano invece si è tolto le sue scarpe per donarmele, io ne avevo più bisogno», ricorda anche di quanto l’impresa gli sia stata vicina nei momenti in cui è stato ricoverato in ospedale, «la ditta ci ha sempre trattati bene, non ci ha mai fatto mancare niente». Quando il signor Ignazio si avvicina alla fine del suo racconto afferma di quanto sia difficile dimenticare «però una cosa mi succede per fortuna, quando arriva il primo di dicembre dimentico tutto, non ci penso, solo per quel giorno riesco a dimenticare».

Giuseppe Frandina

Giuseppe