Ritorno al paese natale
Racconto del nostro direttore Giacinto Massimo Carvelli
Aveva vissuto in paese solo nel periodo della giovinezza, in quella fase della vita, cioè, in cui ancora è lontano il tempo dei pensieri importanti, come quello di costruirsi un avvenire.
Quando questi pensieri cominciano ad affacciarsi all’orizzonte, vengono accolti dalla speranza di potersi costruire un futuro migliore, ed in alcuni casi, anche solo un futuro.
Così, quando le esigenze della vita si sono fatte più pressanti, graffiando e lasciando ferite sul volto e sulla schiena, si trovò ben presto su sentieri lontani dalla sua terra, che da allora, non aveva mai più visto, se non nei sogni, cioè, in quelle realtà che l’oscurità della notte da i contorni della verosimiglianza.
A spingerlo a ritornare in paese soprattutto la necessità di cercare spiegazione a quei sogni che animavano le sue notti, piene d’ansia e di strane sensazioni che non era mai riuscito a decifrare: era come se sentisse che gli mancava qualcosa, ma non riusciva a capire cosa fosse.
Arrivato all’incrocio si fermò, e guardando quel gruppo di case aggrappato su quel costone di roccia, il paese non gli sembrava diverso rispetto a quello che ricordava, sempre accompagnato da quella sensazione di pericolo che aveva spinto le strade e le stesse case ad arrampicarsi sempre più in alto.
Era arrivato alle soglie della notte, ed il buio ed il sonno non si consentivano di vivere appieno le sensazioni che gli si affacciavano, essendo ancora imbambolato per il viaggio e con la testa affollata da pensieri non usuali.
Aveva sognato molte volte, quand’era lontano, di trovarsi di nuovo nella sua vecchia casa; quelle poche stanze sistemate in qual vicolo, che, seppur oggi gli appariva stretto, un tempo era stato così grande da ospitare tutto il suo mondo.
Spesso sognava che ad attenderlo sull’uscio di casa ci fosse suo padre, con lo sguardo severo e quella espressione corrucciata che assumeva quando lo rimproverava, talvolta anche aspramente, invitandolo a mettere giudizio.
Mentre saliva per le strade consumate del paese, la realtà che stava vivendo non sembrava molto lontana da quei sogni e dalle fantasie che affollavano i pensieri della sua vita lontana.
Cercava di resistere agli assalti, sempre più irruenti, del sonno e della stanchezza, ma non sempre vi riusciva; anche per questo non riusciva più a distinguere quale fosse la realtà vera che stava vivendo.
Lasciò la sua automobile in un piccolo slargo, e si avviò a piedi, camminando per i vicoli animati solo dal sussurro del vento, che gli riuscì a schiarire, anche se solo per qualche attimo, i pensieri.
Una strana sensazione, però, continuava a pervaderlo. Era preso da un’ansia che, pian piano, si fece strada riuscendo a spostare dalla mente anche gli ostacoli che gli frapponeva la stanchezza. Il silenzio, quasi irreale, veniva rotto da una lieve brezza che rese piacevole il suo camminare per i vicoli ammantati dalla luna, così familiari, anche se li frequentava, ormai da troppi anni, solo nei sogni.
Entrò in casa e i mise subito a letto, sopraffatto dal sonno. Dormì a lungo, ed anche i sogni fatti nella casa natale si indirizzarono verso quella indecifrabile atmosfera, permeati anch’essi da quella strana ansia.
Fu svegliato dai raggi del sole, che, impertinenti, insinuandosi nelle crepe degli infissi, invasero la camera annunciando la nascita del giorno.
Si trovava nella sua casa natale ed aprendo i battenti della finestra, una splendida giornata di sole gli si palesò, con l’inconfondibile colore azzurro di un giorno terso d’estate; quest’azzurro era, di tanto in tanto, interrotto da striature bianche, minuscole nuvole che si intravedevano all’orizzonte.
Si preparò per uscire, anche se gli incuteva un certo timore il dover camminare tra la gente, incontrare amici, conoscenti, parenti che fermandolo avrebbero voluto sapere tutto ciò che aveva fatto negli anni vissuti lontano dal paese.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio e si scoprì delle nuove rughe sul viso: riconobbe, in quei solchi, le ferite della vita, le stesse che lo condussero, un giorno, lontano dal suo paese.
Uscì finalmente di casa, anche se non sapeva dove andare. Appena fuori, venne nuovamente assalito dai ricordi, da un’atmosfera familiare; risentì la brezza che lo aveva accolto la notte precedente e che aveva portato con se il profumo dei sogni lontani, che gli avvilupparono i sensi.
Si accorse che a guidare la direzione dei suoi passi erano proprio i sogni della notte appena trascorsa.
Passò davanti al municipio; si recò al vecchio mercato; andò in piazza. All’improvviso, sostò di fronte ad una casa dai muri screpolati, che nulla pareva distinguere dalle altre, e restò a pensare. Gli occhi non sembravano riconoscerla, ma dentro di se sapeva bene che quella non era una casa qualunque: dietro le sue finestre, un tempo, prima di partire, aveva lasciato il cuore. Il ravvivarsi improvviso del dolore, distolse il suo sguardo e potette proseguire.
Quando fu nuovamente nei pressi della sua casa natale, il cuore prese a battergli forte: pensava di trovare, sulla soglia sua madre, che lo aspettava per accompagnarlo dentro e difenderlo dagli urli del padre per l’ultima marachella fatta. Sulla porta, però, non trovò nessuno.
Gli vennero in mente le parole di Marcel, suo fedele compagno di lettura: “io ritrovavo, in un ricordo pieno ed involontario, la realtà viva. Tale realtà non esiste per noi finché non sia stata ricreata dal nostro pensiero”. Esiste, invece, “quell’anacronismo che tanto spesso impedisce al calendario dei fatti di coincidere con quello dei sentimenti”.
Ripensando a tutto questo si rese conto che, nonostante fosse andato in giro per il paese, immerso in una marea di emozioni, era tornato deluso perché non aveva ancora trovato quello che era venuto a cercare in questo suo viaggio.
La speranza, oramai, si stava affievolendo quando la sua attenzione venne attratta dall’incedere claudicante di una vecchia signora, che si avvicinava portando sulla testa una sporta. Quella visione, e, soprattutto, l’odore intenso dei piccoli frutti sistemati nella cesta lo inebriò, riportandolo lontano negli anni.
In quella sporta c’erano delle minuscole pere, dal colorito tra il rosso ed il giallo. La signora gliene donò una decina tra le mani, e finalmente le riconobbe: erano e piriceddre muscareddre.
Era proprio così che le ricordava: all’esterno sembravano avere un aspetto ben poco accattivante, con forme imperfette, con qualche ammaccatura; ad attrarre irresistibilmente, però, era il loro profumo, il ricordo del loro sapore.
“Non è questo, in fondo” – pensò – “ciò che succede anche al mio paese? A volte appare un po’ ammaccato, poco accattivante per chi lo vede dall’esterno, ma, poi, una volta che si scopre il suo sapore, il profumo delle emozioni che riesce a trasmettere non lo si lascerebbe più”.
Mentre stava addentando quei frutti, con la voracità di un bambino, sorrideva, perché era sicuro di aver trovato la ragione per tornare, presto, nel suo paese natale, perché, non gli sarebbe più bastato sognarlo solamente. Nei sogni, infatti, non avrebbe potuto sentire quei sapori che sapeva di non poter ritrovare in nessun altro luogo e, soprattutto, non avrebbe potuto sentire ancora il profumo ed il gusto di mordere e piriceddre muscareddre.