L’Italia frana, la Calabria…uno sfasciume pendulo sul mare

L’Italia frana, la Calabria…uno sfasciume pendulo sul mare

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In Italia il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il Paese e la Calabria è una regione ad alto rischio idrogeologico. La vulnerabilità del territorio calabrese è storicamente nota, a tal proposito è utile ricordare la definizione di Giustino Fortunato che già nel 1904 definì la Calabria: “Uno sfasciume pendulo sul mare”. Il territorio calabrese è infatti un territorio con forti dislivelli (in vari punti della Regione si passa in pochi chilometri dal mare alla montagna) e geologicamente “giovane”, per cui la conformazione del territorio è spesso soggetta a modifiche naturali. Numerosi sono gli eventi di dissesto idrogeologico verificatisi in Calabria che hanno provocato numerose vittime e danni molto elevati alla già debole economia regionale. Basta ricordare a tal proposito le disastrose alluvioni del 1951, del 1972-73, ma anche i recenti fenomeni alluvionali che hanno interessato Crotone nel 1996, Soverato nel 2000, Vibo Valentia nel 2006. Negli ultimi decenni, il progressivo abbandono dei territori montani, la progressiva urbanizzazione di aree un tempo disabitate (frutto spesso di uno sviluppo urbanistico dissennato e dell’abusivismo) che ha interessato spesso aree in prossimità dei corsi d’acqua o di zone in frana, ha aumentato notevolmente l’esposizione del territorio al rischio idrogeologico. In questo senso appare emblematica la tragica alluvione di Soverato del 12 settembre 2000, causata dalla presenza di un campeggio in prossimità del torrente Beltrame. Come emblematica la vicenda che interessò, negli stessi giorni, il paese di Mesoraca, all’indomani della strage di Soverato. Qui riportata attraverso uno stralcio di un articolo pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” dell’undici settembre: “Strano lembo d’Italia questo, dove la neonata Autorità di Bacino si è vista presentare una richiesta che oggi sembra un affronto alle vittime, prima che al buonsenso: il comune di Mesoraca, nel crotonese, ha presentato istanza per realizzare un parcheggio di 5 piani nel greto di un fiume. Bocciata”. Aurelio Misiti, assessore ai Lavori Pubblici della Regione Calabria, nel corso di una intervista, alla domanda sul problema del torrente Beltrame, noto da tempo, rispose che non ne sapeva nulla, incalzato dal giornalista affermò: “Ma se lo avessi saputo? Avrei fatto chiudere il campeggio. Così come ho fatto, nei giorni scorsi, bloccando un parcheggio che volevano realizzare vicino a un torrente, nel comune di Mesoraca. Tutte le altre autorità interessate, invece, avevano detto sì. Era proprio uno dei siti indicati nella nostra mappa dei rischi”. Di quanto il fiume Vergari, nel tratto che attraversa l’abitato, sia ad elevato rischio idraulico, ne diede prova nel corso dell’alluvione del 1973. Nell’arco di dodici giorni, dal 20 dicembre del 1972 al 2 gennaio del 1973, una perturbazione meteorologica interessò il Sud della penisola, con precipitazioni di notevole intensità che causarono pesanti conseguenze soprattutto in Calabria. Le acque in piena del fiume spazzarono di tutto, anche le fondamenta di una costruzione in pieno alveo, rischiando di esondare in pieno centro abitato. Se andiamo ancora più a ritroso nel tempo, il 21 ottobre 1867, il mulino “Marescalco”, di cui rimangono solo i ruderi, adiacente al ponte “vecchio”, fu il luogo di una tragedia, in cui morirono 4 donne, rimaste intrappolate da una improvvisa alluvione. Una realizzazione fortemente in contrasto con una idea di sviluppo dell’area urbana di Mesoraca è stata promossa dall’Istituto Magistrale con il progetto: “Parco fluviale: creazione di un sentiero natura lungo il fiume Vergari”. Il progetto, premiato nel 1998 dalla Legambiente Nazionale, si proponeva di valorizzare e tutelare la fiumara Mesoraca, nel tratto in cui si approssima e attraversa il paese di Mesoraca, un “relitto” di naturalità in un territorio fortemente antropizzato. Idee progettuali errate, studi carenti, autorizzazioni poco ponderate, assenza di controlli, sono, purtroppo, abbastanza frequenti nel nostro territorio. Tra i tanti esempi di sperpero di denaro pubblico, ricollegabili al cosiddetto dissesto idrogeologico, ricordiamo solo, per problemi di spazio, la strada del Petilino, conosciuta come la strada del “Diritto al Mare”, franata per diverse centinaia di metri prima di essere conclusa. Un tracciato che interessa materiali con caratteristiche meccaniche scadenti, depositi limo-sabbiosi, con una importante frazione argillosa, che poggiano su argille plioceniche. Materiali che, se imbevuti d’acqua, hanno la “cattiva abitudine” di scivolare con grande facilità. Le perplessità sul tracciato erano emerse sin da subito, anche alla luce con quanto era avvenuto nelle altre strade del territorio di Cutro. Nel passato, quando erano limitate le conoscenze tecnico-scientifiche, erano assenti gli strumenti di pianificazione territoriale ed era ridotto il consumo di suolo, prevalevano le scelte legate al buon senso, all’esperienza, alla “storia” dei luoghi. Quindi, non si possono imputare le nostre disgrazie alla sola fragilità geologica o ai sempre più frequenti eventi piovosi, estremi, definiti “bombe d’acqua”, pur in aumento a causa dei cambiamenti climatici. Il dissesto idrogeologico, che riguarda gran parte della nostra penisola, la Calabria, è imputabile in primis ad una cattiva gestione del nostro territorio, una costante aggressione al territorio che continua a manifestarsi, principalmente, al Sud con l’abusivismo edilizio. Si costruisce su terreni inadatti a resistere al peso degli edifici. Si impermeabilizzano luoghi che rappresentavano le vie di naturale deflusso delle acque. Si abbandona la manutenzione della rete capillare di fossi di raccolta delle acque piovane. Si diminuisce il numero degli alberi. Cosa fare? Occorre un cambio di rotta culturale, cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari livelli. Individuare le situazioni di rischio e adottare interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi. A seguito dell’alluvione di Sarno (Salerno) che causò 160 vittime, venne emanata la legge n. 267 del 3 agosto 1998 (legge Sarno). Quasi tutte le regioni italiane realizzarono il PAI – Piano di Assetto Idrogeologico – perimetrando le aree a rischio elevato o molto elevato di alluvione o di frana. Quindi, bisogna evitare la costruzione nelle aree a rischio di strutture residenziali o produttive. Bisogna ridare spazio alla natura; restituire al territorio lo spazio necessario per i corsi d’acqua, le aree per permettere un’esondazione diffusa ma controllata, creare e rispettare le “fasce di pertinenza fluviale”, adottando come principale strumento di difesa il corretto uso del suolo. In conclusione una seria politica di gestione del territorio può avere importanti ricadute in termini economici e di vite umane. Il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni dal 1944 a oggi è di 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi l’anno. Inoltre, ad essere in gioco non è solo la salute del nostro territorio ma la vita dei cittadini: negli ultimi 12 anni hanno perso la vita 328 persone. Per un maggiore approfondimento/aggiornamento consultare il sito: www.dissestoitalia.it.

Giuseppe Frandina

Giuseppe