Ospedale di Crotone: Partorisce senza assistenza perchè di Cutro

Ospedale di Crotone: Partorisce senza assistenza perchè di Cutro

Quello che è successo ad una donna 36enne di Cutro, se come ha raccontato in una lettera, è vero l’umanità e la professionalità medica è davvero finita. Il coronavirus magari passerà, ma cosa avrà lasciato? La giovane donna racconta di non essere stata assistita in uno dei momenti più importanti della vita di una donna solo perchè arrivava da uno dei comuni chiusi a causa del virus. Sicuramente una denuncia contro il personale sanitario non la risarcirà mai per quello che ha dovuto subire.

Di seguito pubblichiamo la lettera della donna e speriamo che venga smentita dall’ospedale, anche solo in parte, perchè questo vorrebbe dire che ancora non è tutto perso e che si può rimanere persone per bene anche nell’emergenza.

“Nella mattinata di lunedì, rispettando quanto previsto dal protocollo ospedaliero, – scrivono – mi sono recata alle ore 7:00 presso il pronto soccorso del nosocomio calabro per procedere al mio ricovero ospedaliero. Ciò perché essendo al nono mese di gravidanza e, avendo avuto un leggero accenno di diabete gestazionale, era stato calendarizzato il mio ricovero al fine di permettermi il parto con travaglio indotto. Essendo io originaria di Cutro che, come noto, è considerato paese focolaio di coronavirus e, per questo, sottoposto a regime di quarantena, sono stata dapprima sistemata in una stanza assieme ad altre pazienti, poi trasferita in una stanza singola per essere, infine, sistemata in quello che era un tempo il blocco parto del reparto di ostetricia/ginecologia. Tutto questo perché, provenendo da Cutro, era necessario “isolarmi” a causa della potenziale minaccia che potevo rappresentare per le pazienti e tutto lo staff ospedaliero. Tale isolamento, mi è stato detto essere di “protocollo” e io non ho opposto, da buona cittadina, nessuna rimostranza. È stato quindi eseguito il tampone orofaringeo al fine di scongiurare questa “sciagura” ma, in attesa del risultato, non ho ricevuto le adeguate attenzioni del caso visto che i medici si sono limitati a farmi dei semplici tracciati, a cadenza di 3 ore gli uni dagli altri, senza sottopormi ad una necessaria visita ginecologica”.

Continua la lettera: “Il martedì mattina, intorno alle 5:05, sono entrata in piena fase travaglio e nel giro neppure di 20 minuti ho partorito, completamente sola, facendo nascere mia figlia in quello stesso letto in cui mi era stato detto, il giorno precedente, di stare e di non muovermi per nessuna ragione, in quello stesso letto accanto al quale il primario aveva sistemato un pattume invitandomi a gettarci dentro qualsiasi cosa toccassi. In quei momenti, che solo per mano di Dio non sono divenuti tragici, è passato un medico che, senza guanti e camice e per mancanza oramai di tempo, ha afferrato la mia bimba a mani nude. Negli attimi precedenti alla nascita sono state inutili le mie chiamate tramite campanello (non funzionante) al personale medico, le chiamate al pronto soccorso ospedaliero tramite cellulare o le mie grida…intorno a me il nulla”.

E questo perché? Perché sono cittadina cutrese e per questo portatrice sana di coronavirus a prescindere? Quello stesso medico, al quale oggi sono grata perché ha rappresentato nel momento del parto l’unica mia speranza di vita, mi ha detto che quell’esperienza vissuta non l’avrebbe mai più dimenticata, e neppure io perché troppo grave, surreale e potenzialmente tragica. Faccio anche presente che il primario del reparto, che nel giorno del ricovero, completamente avvolto nei suoi dispositivi di protezione individuale, mi ha esortato a non dover vivere il trattamento subito come una sorta di discriminazione, ebbene nei giorni a venire, senza mascherina né guanti, veniva a sincerarsi delle mie condizioni chiedendomi scusa e confessando l’enorme vergogna sentita per l’accaduto. Dopo quella tragica esperienza, mi sarei aspettata almeno un briciolo di umanità, invece vengo ributtata a due ore dal parto in quella stessa stanza dove rimango, ancora una volta, completamente sola senza che mi venga fornito neppure un supporto psicologico e senza la possibilità di vedere qualche mio familiare perché il famoso protocollo me lo impediva.

Mi è stato negato tutto, l’assistenza, la sicurezza, il supporto psicologico, il diritto, i servizi primari. Fortunatamente, adesso, io e mia figlia stiamo bene. Però tante domande è il caso di porle.

Le chiedo la gentilezza di poter pubblicare questa mia lettera: la gente per bene ha il diritto di sapere chi sono coloro ai quali viene consegnata la propria vita nella speranza che queste persone vengano guidate da quella vocazione e professionalità che, forse, un giorno oramai remoto è a loro appartenuta, ma che purtroppo oggi risiede in un universo a loro parallelo che non potranno mai più incontrare. Ultima cosa, e sempre per completezza di informazioni, l’esito del tampone è negativo”.

Redazione Il Petilino

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