U CUTRONE E’ MENTALITA’

U CUTRONE E’ MENTALITA’

«U Cutrone è mentalità». L’ho sentito dire forse un migliaio di volte negli anni in cui stavo a Cosenza all’università. C’erano questi miei amici crotonesi, che quando parlavano in dialetto non ci capivo un’acca, che mi ripetevano questa frase ogni volta che dovevano far intendere, ironicamente, che certe cose gli altri non avrebbero mai potuto capirle. È mentalità, dicevano. Ed io non capivo tutto tutto e magari ridacchiavo pure, perché in fondo non c’era niente di male. Nemmeno oggi ho capito cosa sia successo davanti allo stadio dove, lo ammetto, emozionata come una ragazzina ero andata a vedere la partita tra Crotone e Juventus. Non ci andavo solo per piacere, sia chiaro. Avevo – anzi, pensavo di avere – un accredito stampa. Avevamo seguito tutte le procedure: lettere firmate, documenti, richieste, mail. Tutto. Ci avevano detto: se non vi rispondiamo è tutto ok, siete dentro. Nessuna risposta: è fatta, dunque. Mi sono infilata in auto con Gigino (che contrariamente a me nemmeno è juventino), abbiamo attraversato la nebbia e guardato la neve in zone che non sapevo nemmeno esistessero e che erano realmente bianche e nere: la neve a terra, gli alberi spogli, che per me che ci vedo poco sembravano bruciacchiati. Pensavo fosse una cartolina che mi sarei portata dietro assieme ad un’esperienza che non facevo ormai da tempo e che mi aveva messo un po’ di argento vivo addosso, quasi fossi di nuovo la 15enne che andava a scuola con la maglia della sua squadra del cuore litigando coi compagni tifosi delle altre. Dopo aver superato tutto il bianco attorno, le buche sulla strada non segnalate e gli ingorghi all’ingresso della città, siamo arrivati finalmente davanti alle transenne. Un tizio che confabulava coi vigili urbani ci ha indicato un parcheggio abusivo dove alla modica somma di 3 euro (ma aveva detto 1 per invogliarci, chiariamolo) avremmo potuto parcheggiare. Ci siamo incamminati verso lo stadio, superando bancarelle colme di maglie e bandiere, tra il bianconero, il rosa e il rossoblu. Tra bambini paffuti, rossi in viso e coperti da sciarpe e piumini. Tra padri che ironizzavano sulla squadra torinese, accenti che venivano da un lontano passato (“U Cutrone…”) e signore che si aggrappavano alla rete divisoria. Siamo arrivati lì davanti, superando i controlli dei paganti e i militari in mimetica. E abbiamo detto i nostri nomi allo steward. Tra le buste bianche con lo stemma del Crotone – dove leggevi i nomi di testate che andavano da “Tuttosport” a “Cavalli e segugi” –, il nostro accredito non si trovava. Un errore, abbiamo pensato. Così abbiamo chiamato l’addetto stampa – anzi, il capo ufficio stampa del Crotone, squadra di serie A, unica calabrese nella serie maggiore – chiedendo se ci fossero stati dei problemi. Le indicazioni stilate da lui le avevamo seguite alla perfezione, d’altronde. Avevamo mandato tutto e aspettavamo, come da sua indicazione, un’eventuale mail di diniego. Niente, mai arrivata. Avevamo pure provato a chiamare più volte per sapere se fosse tutto ok – la prudenza non è mai troppa e noi giornalisti siamo un poco paranoici, diciamocelo. Ma nonostante gli orari da ufficio mai nessuno aveva risposto alle nostre telefonate. Così, affidandoci alla credibilità del giornalista che aveva garantito sul da farsi, eravamo andati sul sicuro. Ma no: non ci ha voluti. E ci ha pure presi in giro, perché la testata è nuova, perché venivamo da un’altra provincia (“Tornatevene a Cosenza!”, ha detto), perché eravamo lì solo per la Juve (pensate a Gigino!). Ha riso in faccia a due colleghi, perché aveva deciso che i posti andavano dati a persone più importanti. Decidendo quanto pesa la dignità di ciascuno in base alla testata della quale si può far vanto sul proprio curriculum. Serie A lui e gli altri, serie B noi. “U Cutrone è mentalità”, dicevano. Ed io non capivo. Oggi, però, un poco l’ho capito.

Simona Musco
Giuseppe Frandina

Giuseppe