GALASSIA GUTENBERG: QUANDO LA LETTURA DIVENTA PASSIONE

GALASSIA GUTENBERG: QUANDO LA LETTURA DIVENTA PASSIONE

Antonio Moresco e Quinto Antonelli ospiti dell’ITN “M.Ciliberto” di Crotone

di Davide Alfì e Paola Fabiano

Non si legge per divertirsi, come fanno i bambini, non si legge per istruirsi, ammoniva Flaubert. Si legge per vivere. Così il 6 e il 7 Maggio l’incontro con uno scrittore di successo come Antonio Moresco e uno storico come Quinto Antonelli fa subito comprendere ai giovani studenti dell’ITN “M Ciliberto” di Crotone quali e quanti siano gli effetti collaterali della scrittura.
Nell’incantevole scenario della Lega navale la voce suadente di Moresco racconta di un uomo e un bambino che viaggiano attraverso le rovine di un mondo dove, forse, i raggi del sole cederanno un po’ di tepore e qualche barlume di vita. Trascinano con sé tutto ciò che, nel nuovo equilibrio delle cose, ha ancora valore ed è il bene più prezioso: la ricerca di sè.
Il bambino, del suo nome, non ricorda nulla. I professori non lo capiscono, i compagni lo tengono a distanza. Ma c’è qualcosa di speciale in quel bambino, una forza nascosta che gli permette di andare avanti nella sua non-vita, badando a se stesso anche se, in teoria, non sarebbe più necessario.
In fondo, egli stesso è una sorta di adulto in un corpo da infante. Non si sa quando egli si sia tolto la vita. L’uomo che è in lui è quindi acerbo, immaturo seppur molto vecchio, disabituato alla vicinanza con altre persone. E’ proprio questo uno degli elementi fondamentali de “La lucina”, la fine della vita, tema ricorrente e profondo. Non solo all’interno del racconto troviamo persone morte, ma sono persone con le quali il protagonista non si fa problemi ad avere contatti. Il tanto famoso bambino, che ogni sera accendeva la lucina, sa cucinare, prega e va a scuola. Una scuola per morti, ovviamente. Quel che è peggio, è un suicida. Non ci è dato sapere per quale triste motivo un bambino possa essere spinto a togliersi la vita né in che modo. Ma ciò che conta è che lui è lì, in quel momento, di fronte al protagonista. Tangibile e sorridente mentre si dà da fare e pulisce la sua casa. E, alla fine, l’uomo decide di raggiungere il bambino, di “andare ad abitare” vicino a lui, nella foresta. La morte così viene presa in giro e, per l’ennesima volta, qualche impaziente non riesce a rispettare il proprio turno. Forse, per sentirsi un po’ meno solo.
Nell’insuperabile creazione di Moresco il mondo ha il volto realistico di un uomo e un bambino in un groviglio di strade senza origine e senza meta, dentro una natura ridotta a involucro, fra le vestigia paurosamente riconoscibili di un mondo svuotato e inutile. Restano dunque, in questo mondo, un uomo e un bambino condannati, forse, alla sopravvivenza, restano le relazioni che i due intessono fra loro, ridotte all’estrema essenza nella loro silente tenerezza. E restano le parole, splendide, precise, molto più numerose ormai delle cose che servono a designare; la prodigiosa lingua di Moresco elevata a canto funebre di vita. Resta nella mente degli studenti un residuo via via più cospicuo in mezzo al niente circostante: resta un bambino che accende il fuoco e un uomo che lo protegge dai pericoli di un mondo semimorto con implacabile amore, uomo e bambino tradotti in ogni Uomo e ogni Bambino, con responsabilità e ruoli che inglobano e trascendono quelli dei singoli individui che sembrano essere sospesi su uno strapiombo. Resta il racconto di Quinto Antonelli. Le storie intime di uomini che hanno combattuto la grande guerra. Alcuni entrano come volontari nel cerchio della guerra, bestemmiando e ne escono all’ultimo giorno, benedicendo Dio, a capo chino. Alcuni lasciano la trincea assetati d’amore e di pace, ma avvelenati fin nelle radici dall’odio e dalla disperazione. E’ il racconto di uomini, uomini qualunque andati in trincea, uomini in carne ed ossa che tutto hanno accettato come un sacrificio, come un dovere istintivo, hanno sfogliato la complessa mentalità dei compagni, per poter comprendere gli umili e i primitivi con i quali frangevano il pane e dividevano la paglia.
Resta perfino l’imprevedibile: un’affettuosa lucina che consola e scalda il cuore.

Giuseppe Frandina

Giuseppe