Intervista ad Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente

Intervista ad Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente

Il Parco Nazionale della Sila ha da poco passato la boa dei dieci anni, quale giudizio esprime Legambiente?
Il nostro è un giudizio articolato che si basa sul costante impegno che Legambiente ha messo in atto per istituirlo prima, con una impegnativa attività di “convincimento” di amministratori, forze politiche e sociali e cittadini, e sostenerlo poi nella fase di avvio e di crescita. Siamo l’associazione che più si è identificata con il Parco, e siamo orgogliosi di aver sempre sostenuto le ragioni del Parco pur non avendo mai avuto responsabilità nella gestione dell’area protetta. Legambiente coerentemente alla sua missione, attraverso i circoli ed i volontari, ha operato affinché il Parco realizzasse l’obiettivo di conservare la natura e promuovere un diverso modello di sviluppo del nostro territorio. Ci siamo battuti per avere il Parco convinti che si tratta di uno strumento utile a coniugare bisogni e speranza, in cui le necessità del nostro presente si possono realizzare senza consumare le risorse per i nostri figli. Il Parco lo abbiamo inteso come un’occasione per sistemare e portare a coerenza le tante cose che procedevano confusamente in Sila: turismo, agricoltura, foreste, paesaggio, cultura, possono trovare nel Parco una nuova occasione e un disegno di sviluppo coerente. Insomma noi, sognatori e ottimisti a prescindere, il Parco lo abbiamo voluto nella convinzione che attraverso di esso avremmo contribuito a cambiare il Mondo, ed oggi prendiamo atto, anche con amarezza, che dopo 10 anni questo Parco non ha cambiato le sorti della Sila e nemmeno ha contribuito a cambiare il Mondo.
La Comunità del Parco, che rappresenta gli interessi socioeconomici dei 21 Comuni che ricadono nel Parco, sembra che abbia inciso poco nelle politiche di sviluppo del territorio, qual è il suo parere?
La domanda vera è chi rappresenta la Comunità del Parco? Il vero fallimento del disegno del parco della Sila sta nell’inutile ruolo svolto da questo organo incapace di dare uno spunto o fare una proposta che non fosse l’idea di un parco simile a una grande comunità montana o ad una pro-loco che organizza sagre. Con tutto il rispetto per questi altri, ma un Parco è una cosa diversa e non nasce a caso, ma per tutelare interessi nazionali e promuovere territori di pregio. La Comunità del Parco della Sila, fino a oggi, è stata una cosa inutile senza un indirizzo politico e governata da oligarchi preoccupati solo di detenere il loro piccolo e particolare potere. Se il Parco manca di un indirizzo politico, la responsabilità è della Comunità del parco che, oltre a non svolgere adeguatamente la sua funzione di indirizzo ha delegato alle tre province il suo ruolo. Il fallimento è evidente e le responsabilità pure. Speriamo che cambiamo indirizzo, e soprattutto gli uomini che la compongono.
Faccia un punto dei due strumenti fondamentali per la gestione del Parco: Piano e Regolamento.
Sono ancora in un limbo, ancora embrioni che devono crescere, e che rischiano di non vedere mai la luce. Non mi scandalizza il tempo passato, visto che la gran parte dei 23 parchi nazionali non hanno un piano approvato, e finché non si modifica la procedura di approvazione prevista dalla legge continueremo ad approvare strumenti di pianificazione invecchiati ancora prima di vedere la luce. E’ bene non dimenticare che la gran parte dei comuni del Parco non ha strumenti urbanistici vigenti o piani strutturali moderni, per non parlare dei piani paesistici provinciali e di quello regionale, perciò pretendere dal Parco una buona pianificazione sarebbe stato velleitario. Detto questo, non è concepibile che, nelle more, su questioni come la gestione forestale e la programmazione delle infrastrutture sciistiche invernali, non si possa fare nulla per evitare disastri. Non è accettabile che le autorizzazioni forestali vengano rilasciate dalla Regione senza che il Parco dica una parola, ed è inconcepibile che la gestione forestale dentro il Parco sia come quella fuori dai suoi confini: a cosa serve avere il Parco se si continua a tagliare a prescindere, e in un’area protetta in cui oltre l’80% del suo territorio e ricoperto da boschi e foreste, non avere una politica forestale non è un dettaglio.
Altro punto su cui siamo critici riguarda le infrastrutture: è possibile fare un piano di bacino per gli sport invernali in cui prevedere cosa è possibile realizzare e cosa vietare senza rincorrere progetti inutili, sebbene finanziati, e fantasmi di uno sviluppo impossibile. In attesa del Piano, il Parco potrebbe mettere mano a queste due questioni, che non sono un dettaglio, e nel frattempo potrebbe bloccare preventivamente richieste come quelle di svuotare i laghi, così almeno ci ricordiamo qual è la sua missione.
Come giudica la sorveglianza del Parco da parte dei CTA del Corpo Forestale dello Stato?
La presenza del Corpo Forestale è insufficiente, per uomini e mezzi, in questo come in tutti i Parchi nazionali. Anzi il personale del CFS è carente in ogni regione o provincia, e questa situazione non garantisce un controllo effettivo del territorio. Negli ultimi anni, nonostante i tagli e le carenze, nei parchi si è provato a salvaguardare il personale del CFS ma i dati sono impietosi: nel Parco della Sila il personale del CFS è la metà di quello previsto. Perciò parlare di sorveglianza è un eufemismo, il contrasto degli incendi boschivi si fa insieme alle altre incombenze, mentre indagini su reati e interventi di prevenzione sono impossibili, e tutto questo, com’è ovvio, incide negativamente sulla tutela del territorio e sulla salvaguardia della natura. Occorre fare di più, anche coinvolgendo le altre forze dell’ordine in azioni di contrasto, e con il contributo del volontariato. In questi anni Legambiente ha sempre dato un contributo nella tutela del Parco, soprattutto nel contrasto degli incendi boschivi, potremmo anche valutare un impegno più ampio se si creassero determinate condizioni.
Nella nostra Comunità, per alcuni, il Parco è visto come un vincolo, ed è diffuso un giudizio negativo sull’azione dell’Ente Parco, giudicato poco attento alle esigenze di questo territorio. Quale futuro, quali opportunità potrà offrire la presenza di questa importante area protetta?
Esiste un rumore di fondo che accompagna in negativo l’attività dell’Ente Parco, è inutile che ci nascondiamo dietro un dito. Occorre indagare e capire cosa genera questo sentimento di contrarietà per fornire le risposte più adeguate. Io penso che non esiste una contrarietà al Parco in quanto progetto, ma si sta radicando un’avversione alla burocrazia e alla lentezza con cui l’Ente parco fornisce risposte e individua prospettive. Non ci sentiamo di smentire questa impressione, e siamo preoccupati che cittadini, operatori, forze sociali ed economiche guardino con distacco il Parco che loro stessi hanno voluto. È bene ricordare che il parco della Sila è nato grazie al contributo di questi settori che oggi sono i più distanti dalla vita del Parco. Ci vuole una svolta totale per ridare ai cittadini lo scettro del Parco e levarlo ai burocrati ed ai politici che hanno ingessato il presente del Parco e sperano di opzionarne il futuro. Noi di Legambiente contrasteremo disegni di questo tipo, e stiamo maturando l’idea che solo un radicale cambiamento di uomini, e donne, e di metodo può garantire un futuro al nostro Parco. Al Parco del popolo.

Giuseppe Frandina

Giuseppe